«La misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente (…) Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la com-passione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente, è una società crudele e disumana»

(Benedetto XVI, Spe salvi, 38)

“Gli Stati Parti alla presente Convenzione riconoscono il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone, e adottano misure efficaci ed adeguate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di tale diritto e la loro piena integrazione e partecipazione nella società”.

(art. 19 Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità)

Il grande bisogno di condivisione
delle famiglie con figli con disabilità

Le famiglie con figli disabili non sono come le altre. Sono diverse tra di loro anche in relazione alle caratteristiche della disabilità del figlio. La situazione del figlio segna i genitori nel profondo, negli atteggiamenti e nei sentimenti per tutta la vita. Il loro percorso è difficile e faticoso.

Le difficoltà di queste famiglie vengono aggravate dall’organizzazione della vita quotidiana: all’assistenza e al sostegno del proprio figlio si sommano la frammentazione delle responsabilità, la burocrazia e la scarsa efficienza dei servizi pubblici di riferimento per la disabilità.

Inoltre in Italia la famiglia – nel caso di figli disabili – si addossa anche l’onere di essere l’unico luogo certo e interessato per il coordinamento dei diversi servizi e delle esigenze del bambino.

Ciò costringe troppo spesso le famiglie a vivere “in funzione di” invece che “con” il figlio disabile.

La famiglia e i genitori non possono essere lasciati soli. È evidente la necessità di supportare adeguatamente i genitori e la famiglia accompagnandoli:

  1. nell’effettivo coinvolgimento in tutti i passaggi della vita scolastica: la condivisione della pianificazione delle attività didattiche, l’informazione costante sull’andamento del figlio, la piena partecipazione e l’integrazione tra il percorso di apprendimento e il resto delle attività legate allo sviluppo del minore
  2. nell’affrontare la totalità dei bisogni e delle problematiche, anche al di fuori della scuola.

L’accompagnamento delle famiglie con figli con disabilità è opportuno che avvenga anche tramite l’interazione fra più famiglie. Questo permette ai genitori di scambiare esperienze e opinioni, di condividere la propria situazione, di discutere le conoscenze acquisite e di confrontarsi sugli interventi in atto.

Attraverso questo percorso i genitori potranno rendersi conto di non essere soli, mettere in comune le problematiche educative e affrontare i passi successivi con più certezza.

La famiglia, condividendo con altre famiglie, diventa più consapevole e responsabile nelle proprie scelte.

Un approccio non settoriale alla disabilità

In termini generali, i Paesi europei stanno adottando un approccio che considera la disabilità in termini non settoriali, ma dentro una visione complessiva che tenga conto di tutte le problematiche che una persona disabile può incontrare nella sua vita. È per questo che le politiche di integrazione scolastica vanno correlate con quelle per il sostegno alla famiglia, per l’abolizione delle barriere architettoniche, per un reale e dignitoso inserimento lavorativo, per il raggiungimento del benessere per le persone con disabilità.

L’educazione

Un approccio di questo tipo ha delle conseguenze sul piano dell’insegnamento nella scuola, perché contribuisce a inserire le azioni educative dentro a una visione più ampia, che apre il progetto perseguito dalla scuola al più vasto orizzonte del progetto di vita.

Dove questa visione viene a mancare, gli effetti delle azioni di integrazione scolastica risultano fortemente limitati. L’orizzonte dell’aula non è mai sufficiente e l’autonomia ricercata attraverso il percorso scolastico ha senso solo se spalanca a vivere nella società.

Per questo le famiglie delle persone con disabilità diventano il perno di ogni attività di integrazione scolastica all’interno delle scuole stesse.

Un esempio: l’accesso alle scuole paritarie per le persone con disabilità, una mancanza fondamentale

La legge 62/2000 ha riconosciuto le “scuole paritarie” (non statali) come parte integrante a pieno diritto del sistema nazionale di istruzione. Tra gli obblighi previsti dalla l. 62/2000 a carico degli istituti che intendono acquisire la qualifica di “scuole paritarie” vi è anche quello di applicare “le norme vigenti in materia di inserimento di studenti con handicap o in condizioni di svantaggio” agli alunni che, accettando il Progetto Educativo, richiedano l’iscrizione.

Al diritto dell’alunno con disabilità di iscriversi a una scuola paritaria segue pertanto il dovere della scuola di garantire “attività di sostegno mediante l’assegnazione di docenti specializzati” ai sensi dell’art. 13 c. 3 l. 104/92.

Sennonché l’onere economico ulteriore che si genera per la scuola paritaria, anche per i gradi relativi all’obbligo di istruzione, è prevalentemente e nella maggior parte dei casi a carico delle famiglie, in modo assoluto per la scuola secondaria e parziale per la primaria e l’infanzia.

Tale situazione si traduce o in un aggravio degli oneri cui si fa carico la scuola paritaria o in una impossibilità per la famiglia di scegliere la proposta educativa più adatta per i propri figli, qualora non sia in grado di accollarsi il costo dell’insegnante di sostegno.

Questo fenomeno potrebbe indurre le scuole paritarie a una ricerca meno accurata di metodologie, tecniche e strumenti innovativi per l’inserimento scolastico delle persone con disabilità. Infatti, solo alla fine di ogni anno scolastico vengono erogati dei fondi che coprono in minima parte i costi sostenuti.

A partire dall’anno scolastico 2007/2008 i fondi sono stati ripristinati per le scuole primarie, ma anche in questo caso la certezza si ha solamente a fine anno.